lunedì 24 giugno 2013

Capitolo Quindici


«La megera sa senz'altro che siamo qui», sussurra Everi. «Tanto vale la pena aspettare e vedere che cosa ha intenzione di fare coi nuovi arrivati.»
Sequoia annuisce con un grugnito. Chiude la porta ed estrae un pacchetto dallo zaino. Con gesti rapidi e precisi srotola il cavetto in fibra ottica. Fa sporgere un'estremità sotto l'uscio, quella dotata di una microcamera non più grande di una capocchia di spillo, e collega l'altra a un piccolo display ad alta definizione.
«Fibroscopio?», gli chiede Anna/Vern, che non ha dimenticato le sue competenze da ladro.
«Sì. Ora però sta zitto.» Sequoia accende il display, che mostra le immagini del corridoio. Ruota delicatamente il cavo, cercando di orientarlo al meglio. A un certo punto la microcamera inquadra la donna che è appena scesa dagli appartamenti del terzo piano.
Oldisia.
Jones se l'aspettava diversa, ma sa che il Male può assumere molte forme. La padrona di casa è una signora di mezza età, vestita con un elegante tailleur color cannella. Di media statura, corporatura asciutta, capelli scuri raccolti in uno chignon, occhi neri e grandi, la strega sembra più un'austera nobildonna che non un essere sovrannaturale potente e letale.
Oldisia si ferma vicino al cadavere di Perrault. Lo osserva con lo sguardo che un passante riserverebbe a degli escrementi di cane abbandonati sul marciapiedi. Poi flette le dita, come per sgranchirsele. Il corpo del mago francese si decompone a una velocità impossibile, come in certi film sui vampiri che Sequoia guardava da ragazzino. Dopo soli cinque secondi non resta che un mucchietto di polvere scura.
«Per il Buddha!», bisbiglia Chao, terrorizzato.
«Fai silenzio», lo ammonisce Sequoia, stizzito, colpendolo con un buffetto sul braccio.
«So che siete qui.» L'affermazione di Oldisia zittisce la discussione. La strega guarda il corridoio, soffermandosi per qualche istante su ciascuna porta, compresa quella dello studio di Perrault, dove si nascondono loro quattro. Nella penombra la microcamera non si vede, ma Jones deve fare appello a tutto il suo sangue freddo per non ritrarla di scatto.
«Sapevo che anche in questa realtà avrebbero mandato qualcuno per cercare di fermarmi», prosegue Oldisia. «Ci provano sempre. A dire il vero voi siete stati piuttosto in gamba. Perrault era un buon cane da guardia, non facile da eliminare. Ora, il fatto che io sia ancora qui, nonostante i molteplici tentativi di eliminarmi, la dice lunga sull'impossibilità della missione che vi hanno affidato.»
Dal lato opposto del corridoio si sentono passi e voci che si avvicinano. Gli ospiti del rituale stanno venendo incontro alla padrona di casa. Oldisia non pare preoccuparsene. «Mi piacerebbe offrirvi la possibilità di voltare le spalle ai vostri mandanti, e di unirvi a me. Se avete sentito le dicerie che mi riguardano, saprete che posso essere una brava padrona. Generosa e leale, anche se esigente. Guardate quanta libertà ho lasciato al buon Perrault...»
Sequoia scambia delle occhiate coi compagni. Se c'è un momento in cui qualcuno di loro può tradire, è proprio quello. A preoccuparlo sono soprattutto Chao, che è seduto sul pavimento a gambe incrociate, e Vern, che al momento è controllato da Anna. Ma chissà ancora per quanto può trattenerlo...
«Tuttavia», prosegue la strega. «Sento un profumino nell'aria. La buona fragranza di un'Incarnazione superiore, croccante al punto giusto.»
«Non sono io», mima Chao, senza proferire parola. Il ragazzino è assolutamente terrorizzato.
Sequoia capisce. Guarda Everi, che annuisce. L'Incarnazione percepita da Oldisia è lei. Ovviamente per il guerriero non si tratta di una sorpresa assoluta, visto che la donna ha fatto intuire più volte il suo segreto, specialmente nello scontro con Riquet. Tuttavia averne la conferma lo spiazza comunque.
«Mandare un'Incarnazione per cercare di liberarne un'altra», dice la strega. «Questa è una novità perfino per me. Apprezzo anche la sottigliezza di nasconderla in una mortale non predestinata a tale compito. Cosa le costerà tutto ciò? Morte o pazzia? Comunque sia, chi ha messo insieme la vostra squadra è stato imprudente, ma coraggioso. Di chi si tratta questa volta? Qualche potenza superiore? Già, deve essere così... altrimenti non avreste creato un gruppo di caccia così eterogeneo.»
Le voci sono sempre più vicine. Sequoia gira la telecamera e inquadra gli ospiti, fermi al lato opposto del corridoio. Il maggiordomo il livrea li precede, ma al momento è immobile a sua volta, in attesa di ordini.
«Benvenuti», li saluta Oldisia. «Prego, raggiungetemi. Stavo giusto stanando alcuni topolini che infestano la mia vecchia villa.»
Gli ospiti avanzano, cauti ma incuriositi. Guida la fila l'attrice famosa, al fianco del maggiordomo, dimostrandosi così la più intraprendente tra gli invitati. Il porporato è l'ultimo della fila, schivo e compassato.
Everi fissa Sequoia, tesa e preoccupata. Non osa parlare, ma il suo sguardo è eloquente: Che si fa ora? Qual è il piano?

Il soldato sta esaminando le varie opzioni. Lo scopo primario della missione è salvare Laura Elpis – Incarnazione della Speranza – e portarla via da lì. Il signor Meical ha promesso che, una volta fuori da quell'edificio stregato, ci penserà lui a nasconderla da Oldisia, lasciando così trascorrere la finestra di tempo in cui è possibile effettuale il rituale di sacrificio. Fatto ciò la ragazza sarà salva e Oldisia dovrebbe lasciare questa realtà senza causare altri guai.
Il fatto è che di Laura Elpis non hanno ancora trovato traccia. A questo punto Sequoia immagina che sia prigioniera negli appartamenti della megera, al piano superiore. Una meta che al momento è lontana quanto la Luna, considerando chi li attende in corridoio.
Uno scontro diretto non ha molte speranze di concludersi a loro favore. Di certo, da strega potente quale è, Oldisia ha protetto se stessa con incantesimi e sigilli che la rendono immune a buona parte delle armi comuni. Perfino la magia di Everi, pur impressionante nel suo manifestarsi, potrebbe non bastare per impensierire la maledetta.
A sorpresa Chao si china su di lui e gli sussurra qualcosa all'orecchio. «Lascia fare a me. Voi state solo pronti a scappare.»
Sequoia strabuzza gli occhi. Vorrebbe chiedergli di più, ma anche lui ha il terrore di rompere il silenzio, sebbene sia certo che Oldisia conosca il loro nascondiglio. Alla fine si limita ad annuire. Rafforza la presa sul calcio della semiautomatica e rivolge uno sguardo a Anna/Vern e a Everi. Il soldato alza una mano, ordinando loro di prepararsi ad agire. Una sortita è l'unica speranza che hanno per togliersi da quella trappola.
Una volta fuori, venderanno cara la pelle. È un non-piano stupido e inaccettabile per il soldato Jones, ma che rappresenta almeno una speranza.
«Bene, miei cari amici», continua Oldisia, imperterrita. «Ora sistemiamo i nostri fastidiosi topolini e poi potremo procedere col programma della giornata.» La strega fa uno scatto improvviso e si lancia verso la porta, spalancandola. Si muove con la velocità di felino, a dispetto dall'aspetto da compassata e rigida aristocratica.
Con grande stupore di Sequoia, la padrona di casa ha sbagliato bersaglio, aprendo l'uscio che si trova dalla parte opposta del corridoio, vicino alla rampa di scale che scende.
Chao tocca il gigante a una spalla. «Ora, ora.»
Certo, intuisce Jones. Chao Vattelappesca, Incarnazione dell'inganno, proveniente da chissà quale dei tanti mondi del multiverso. Un trucco del genere deve essere una sciocchezza per uno come lui.
«Ora», conferma il soldato dell'Ordo. Hanno una sola possibilità per uscire dall'impasse, non possono sbagliare.
Sequoia apre la porta con violenza tale che quasi la scardina.
I quattro escono in corridoio, dove Oldisia sta ancora cercando di capire cosa ha sbagliato, facendo così una pessima figura davanti ai suoi ospiti. Tra i due gruppi non c'è più di una quindicina di metri.
Appena si riprenderà dall'effetto sorpresa, la sua reazione della strega sarà terribile.

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LA SCELTA: QUALE STRATEGIA ADOTTARE?


  • Liberare Vern dal controllo di Anna e scatenarlo contro gli ospiti di Oldisia, per rallentare la strega.
  • Tentare una sortita di gruppo al terzo piano, nella speranza di essere più veloci di Oldisia.
  • Lasciare Everi al secondo piano, nel tentativo di ingaggiare la strega, mentre gli altri cercano Laura Elpis al terzo piano.
In questo caso i POV sono correlati alla scelta precedente: Anna/Vern nel primo caso, Sequoia nel secondo, Everi nel terzo.
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giovedì 30 maggio 2013

Capitolo Quattordici


«Inganno», legge Anna, con la voce di Vern.
Sequoia soppesa la pietra nella grande mano. «Dovremmo farci aiutare da uno che è l'Incarnazione della truffa?»
«Per Inganno s'intendono molte cose», gli spiega Everi. «In ogni caso la mia intenzione è solo quella di sottrarre l'energia residua della pietra e utilizzarla per potenziare la mia magia.»
«E sei sicura di sapere come si fa?», le domanda Anna.
L'espressione dubbiosa della Kendal è più esplicita della sua risposta. «Credo di sì, anche se ci sono logici margini d'errore.»
«Allora utilizziamola in un altro modo», propone la francese.
«Per esempio?»
«Liberiamo l'Incarnazione e chiediamole di combattere con noi. In fondo è prigioniera di Oldisia. Non c'è motivo per cui rifiuti di aiutarci. Immagino anche che non potrà tornarsene semplicemente nel suo universo d'origine.»
Everi si passa una mano tra i capelli, nervosa. «C'è comunque il rischio di sbilanciare l'equilibrio del nostro mondo, liberando una figura che aumenterà inconsciamente il tasso d'inganno e di tradimenti. Un problema secondario rispetto a ciò che si propone di fare la strega ma pur sempre...»
Il rumore secco zittisce le due donne, che si voltano verso Sequoia. Il gigante ha lasciato cadere la pietra a terra, spaccandola in mille pezzi. Un sottile fumo viola si solleva dai frammenti, condensandosi in una figura umanoide.
«Cos'hai fatto?», esclama Everi, furibonda.
«Ho trovato una soluzione ai vostri insopportabili bisticci.»
Indietreggiano tutti e tre di qualche passo. Sequoia punta la pistola alla forma che sta prendendo consistenza.
Quando il processo ha finalmente termine, dal fumo color ametista esce un ragazzo esile, sui sedici anni, dalla pelle color rame, corti capelli neri e fattezze orientali. Il giovane indossa una vistosa camicia azzurra senza maniche e dei larghi pantaloni dello stesso colore.
«E tu chi cazzo sei?», gli domanda Jones, senza abbassare la pistola.
«Mi chiamo Chao», risponde il ragazzo in un inglese fortemente accentato.
«Noi ci aspettavamo....» Jones si passa la mano sinistra sulla testa rasata, cercando le parole giuste. «Beh, un'Incarnazione. O qualcosa di simile.»
«Infatti sono l'Incarnazione di Inganno», conferma Chao con tutta calma. «Vengo dal Grande Impero del Siam.»
«Frena bimbo. Qui non c'è nessun Siam da almeno settant'anni.»
Chao corruga la fronte. «Cosa intendi dire?»
«Qual è il tuo ultimo ricordo?», interloquisce Anna, che con la sua doppia voce maschile e femminile strappa un'occhiata perplessa al ragazzo.
«Una strega molto potente mi ha rapito dalla mia casa di Bangkok, dopo aver sterminato i miei servitori e tutti coloro che vivevano con me. Non ricordo altro, se non di essere stato ridotto alla forma essenziale di un cristallo di potere. Da allora le mie percezioni del mondo si sono assai ridotte. Sono caduto in un sonno magico per non impazzire.»
«Ti sei perso il bello della storia», commenta Anna, questa volta col tipico umorismo di Vern. «Everi, ragguaglialo.»
Everi lo fa.

Dieci minuti più tardi Chao è seduto a gambe conserte sul pavimento del laboratorio alchemico e non smette di scuotere la testa. «Una predatrice di Incarnazioni», ripete, incredulo. «Mi è capitato di sentire storie di Krasue tanto potenti da trattare alla pari con alcune delle Incarnazioni maggiori, ma addirittura sfidarle...»
Sequoia si stringe nelle spalle. «Le Krasue sono spiriti malvagi femminili del tuo paese. Oldisia invece è una strega molto antica e molto forte. Forse nel tuo universo è nota con un altro nome, o forse no. Se è sopravvissuta per secoli accumulando potere è anche perché ha saputo agire nell'ombra, con discrezione. Al limite delegava il lavoro sporco alla manovalanza.»
«Come il mago di cui mi avete detto?»
«Perrault? Certo.»
Chao sospira. «E ora Oldisia è sul vostro mondo per cibarsi di un'Incarnazione maggiore: Speranza.»
«Sì», risponde Anna. «Voi mezze cartucce le servite solo come scorte per l'inverno. Però di tanto in tanto deve mangiare qualcosa di raffinato, di gustoso. È un po' come Pennywise di IT. Avete Stephen King nel vostro universo?»
Sequoia guarda il ladro e gli punta un dito: «Tutto a posto là dentro? Anna, lo controlli ancora?»
La faccia di Vern torna a essere seria. «Sì, tutto bene. Qui dentro stiamo collaborando senza problemi. Per il momento.»
Chao batte le mani e richiama l'attenzione: «Non ho capito molte di cose di quelle che avete raccontato, ma credo che voi vogliate il mio aiuto.»
«Già», replica Sequoia. «Immagino che sia la tua unica speranza per tornartene a casa.»
«Non sono un guerriero», mugugna il ragazzino, che per un momento appare davvero tale. «Avreste avuto più fortuna nel trovare Guerra, Conquista o magari Vendetta. Loro sì che sono tipi fatti per i combattimenti.»
«Invece ci dobbiamo accontentare di te. E ritieniti anche fortunato.»
«Perché?»
Il guerriero dell'Ordo guarda Everi, che però tace. «Lascia perdere. Ora pensiamo a muoverci. Non dovrebbe mancare molto al rituale della vecchia puttana.»


Sono di nuovo in corridoio. I resti di Perrault non paiono turbare Chao, che si è unito al gruppo con un fatalismo tipicamente orientale.
I quattro guardano oltre la rampa di scale che sale. «Approccio diretto?», chiede Sequoia. «E poi al limite vediamo che cosa accade.»
«Che fine stratega», lo canzona Anna/Vern.
«Dubito che ci si possa avvicinare alla strega sperando di prenderla di sorpresa», sbotta il gigante, spazientito. «Cazzone.»
«Ora datevi una calmata», li rimprovera Everi sottovoce. «Se ciascuno di noi farà la sua parte avremo qualche speranza di battere Oldisia. Non ci hanno scelto a caso.»
«Soprattutto tu, vero?», le dice Sequoia. «Sei molto più in gamba del previsto. Tanto che mi viene da pensare che noi altri siamo qui solo per farti da guardie del corpo.»
«Vi ha forse nascosto qualche cosa?» Chao sembra illuminarsi, felice.
«Frena, piccolo truffatore», lo ammonisce la Kendal. «Non provare nemmeno a mettere zizzania tra di noi.»
Chao incrocia le braccia sul petto, imbronciato. «Tanto ci riuscite benissimo da soli.»
In quel momento un rumore dall'esterno zittisce tutti quanti. Sequoia distingue il suono di alcune auto che spengono i rispettivi motori, e quindi lo sbattere di molte portiere. Si sporge verso il rosone di vetro zigrinato, posto sul fondo del corridoio, e cerca di sbirciare all'esterno.
Riesce a vedere il cortile della villa. Nello spiazzo antistante l'edificio sono parcheggiate sette auto di lusso, da cui son scese diverse persone. Per quel che riesce a osservare in quella scomoda posizione nota che sono uomini e donne ben vestiti.
Una dozzina in tutto, ma con altre due auto che stanno arrivando proprio in quel momento. Non può esserne certo, o forse non vuole crederci, ma gli sembra di riconoscere qualche volto noto.
Tre famosi politici, rispettivamente italiano, francese e tedesco.
Un regista di fama internazionale, dato per morto da una decina d'anni.
Un noto imprenditore informatico, dall'aspetto bolso del nerd invecchiato male.
Un porporato che conosce molto bene, ammanicato con le alte sfere del Vaticano.
Un'attrice vestita con un lungo abito da sera, che da diverso tempo viene costantemente inserita nella lista delle dieci donne più influenti del pianeta.
«Che cazzo è questa carnevalata?», esclama Sequoia, rivolgendosi ai compagni. Cede loro il posto. A turno sbirciano, curiosi. Anche Chao guarda, in silenzio.
Il corteo di ospiti viene accolto da un azzimato maggiordomo in livrea. L'attrice indica il ninfeo, visibilmente contrariata.
Il maggiordomo si esibisce in inchini e salamelecchi, mostrando agli ospiti l'ingresso alla villa.
«Salteranno il ricevimento preliminare», ipotizza Everi, che all'improvviso appare spaventata. «Oldisia è potente ma anche cauta. Sa che siamo moscerini, ma moscerini fastidiosi. Non vuole correre rischi. Preferisce passare subito al sacrificio.»
Al piano di sotto si sente la porta che viene aperta, seguita da un ovattato chiacchiericcio.
Sequoia stringe il calcio della semiautomatica, confuso e indeciso. «Perché tutti quei pagliacci VIP sono qui?», bisbiglia.
Everi gli afferra un braccio. «Sono membri del culto di Oldisia, suoi amici, al contempo succubi e complici. Immagino che sia gente che ha da guadagnarci eliminando la Speranza da questo mondo. O almeno così credono.»
Anche da sopra, dall'ultimo piano della villa, si odono dei passi secchi e lenti.
«Arriva la strega», afferma Anna/Vern, senza più voglia di scherzare.

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LA SCELTA (1) Che cosa devono fare i nostri eroi?


  • Mandare Chao al piano di sotto, per cercare di portare scompiglio tra gli ospiti.
  • Cercare di precedere Oldisia e raggiungerla al terzo piano.
  • Nascondersi al secondo piano e aspettare che la strega incontri i suoi ospiti, per seguire lo sviluppo della situazione.

LA SCELTA (2): Quale PDV volete per il prossimo capitolo?


  • Anna/Vern
  • Everi Kendal
  • Sequoia Jones
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giovedì 16 maggio 2013

Capitolo Tredici


«Ti do due secondi», esclama infine il soldato.
Anna non perde tempo. Evapora letteralmente dal golem vegetale e s'infila nelle narici di Vern. La sensazione che prova smaterializzando l'ectoplasma di cui è composta non per niente piacevole. Evita di pensarci e cerca di portare a termine ciò che si è imposta di fare.
Si lascia defluire nel corpo del ladro, saturando quando più spazio possibile. Concentra i suoi sforzi soprattutto su cuore e cervello, gli organi chiave per il controllo di un essere vivente. Sono nozioni che nessuno le ha mai insegnato prima, semplicemente si accorge di conoscerle da quando è un fantasma.
La coscienza di Vern oppone resistenza. L'uomo è spaventato da quell'intrusione, al punto che la sete dovuta al veleno della lamia recede quasi fino a spegnersi. Anna immagina però che si tratti di un trucco, quindi non si lascia impietosire. Dilaga e prende possesso di tutto, fino a stringere il soffio vitale dell'amico in un angolo indefinito della sua calotta cranica. «Non opporre resistenza», gli comunica in via telepatica. «Lascia che sia io a muovere il tuo corpo, almeno finché non troveremo una cura.»
Vern non risponde. Resta lì dove si è ritratto, come un cerbiatto minacciato dal fuoco avvolgente di una foresta in fiamme. Anna prova a muovere le braccia del ladro, alzandole verso il soffitto del corridoio. Ci riesce senza problemi. La vittoria è sua.
«Ce l'ho fatta», dice a Sequoia, accorgendosi che la sua voce è duplice, sia maschile che femminile. Ora vede la canna della pistola di Jones dal davanti, puntata tra i suoi nuovi occhi.
«Ce l'hai?», chiede il guerriero, indietreggiando di un passo.
«Ce l'ho.»
Poi arriva il dolore. Anna sente la ferita al fianco e toglie il coltello infilato nella carne, rischiando di perdere il controllo appena acquisito sul corpo di Vern. Dopo moltissimo tempo sta sperimentando delle sensazioni umane. Di certo avrebbe preferito ricominciare con qualcosa di meno atroce. Si accorge però che il corpo del ladro si sta già rigenerando.
Il veleno della lamia, che è più assimilabile a un elemento sottile che non a qualcosa di fisico, sta tornando a fluire e a espandersi. Nemmeno volendo potrebbe bloccarlo, perché è l'unica cosa che può salvare Vern dalla ferita subita. Decide però di tacere questa cosa a Sequoia, perché la soluzione che potrebbe adottare il gigante sarebbe probabilmente definitiva.
Jones abbassa l'arma. «Sei sicura di poter controllare il nostro amico?»
«Non a lungo», ammette lei. «Quindi dovremo fare in fretta.»
Decidendo di fidarsi di lei, Sequoia le dà le spalle e si volta verso Everi e Perrault, che sono ancora immobili, avvolti dalla coltre luminosa. «Tu che ci capisci di magia: credi che dovremmo fare qualcosa per aiutarla?»
Anna sta per rispondere quando il bozzolo di luce che ingloba i due incantatori si spegne. Entrambi crollano a terra, ma è subito evidente che è stato il francese ad avere avuto la peggio. Lo stregone è accartocciato su se stesso e pare essere invecchiato di molti anni nel giro di pochissimi minuti. La sua pelle è incartapecorita e ustionata, come dopo una lunga esposizione al sole cocente.
Al contrario Everi, pur ansimante e sudata, pare splendere. Per un attimo Anna vede una figura traslucida femminile che si sovrappone alla Kendal. Scompare quasi subito, prima che la ragazza-fantasma riesca a notare altri dettagli.
Everi si volta e guarda i compagni con espressione perplessa. «Ho eliminato questo cane randagio. Nel frattempo voi che avete combinato?»


Sequoia le spiega in breve ciò che ha fatto Anna. La Kendal ascolta, assorta, infine annuisce. «È una soluzione temporanea. Se non troviamo una soluzione per curare Vern...» Lascia in sospeso la frase.
«Lo so» replica la Bonacieux, che non ha intenzione di abbandonare l'amico al suo destino. «Farò il possibile per rallentare il veleno della lamia.»
«Bene», conclude Everi. «Ora proseguiamo.»
La risatina moribonda di Perrault avverte i tre che il francese non è ancora morto. «Non lo salverete lo stesso», tossisce il mago, cercando inutilmente di alzarsi da terra.
«Intendi dire la ragazza?», lo apostrofa Sequoia.
«No, intendo dire il vostro mondo. Lei lo sa», punta un dito scheletrico verso la Kendal. «Lo ha visto.»
«Ho visto soltanto la tua sconfitta», risponde la ragazza.
Anna si accorge però che il tono di voce di Everi nasconde qualcosa, forse una punta di dubbio.
Jones si china sullo stregone, che con la mano destra cerca di afferrare il grosso libro che porta sempre con sé. Il soldato lo spinge via con un calcio e punta la pistola alla testa del francese. «Alla fine non sei stato questo grande avversario.»
«Non pensavo di dover affrontare...»
«Basta chiacchiere», lo interrompe Everi, incendiando il libro con una sottile lingua di fuoco proiettata dalla sua mano sinistra. Perrault si tende verso di lei, nel tentativo inutile di fermarla.
Everi lo squadra senza mostrare alcuna pietà: «So dov'è la ragazza. Tu non ci servi più. Sequoia, eliminalo.»
Il soldato si acciglia ma non se lo fa ripetere due volte. Prima che il francese possa aprire di nuovo bocca gli spara in fronte. Il proiettile benedetto lo zittisce per sempre, in modo netto e pulito.

Finita la battaglia il corridoio piomba nel silenzio più assoluto. Anna, ancora concentrata sul respingere e arginare il veleno sottile della lamia, si rivolge alla Kendal. «L'hai sconfitto facilmente.»
«Non quanto sembra a voi. Il nostro è stato uno scontro duro. Senza le informazioni assorbite dal povero Riquet forse non avrei vinto.»
«Un lavoro ben fatto», grugnisce Sequoia mentre sbircia con circospezione dietro l'angolo del corridoio, dove ci sono le scale che salgono.
Anna non è del tutto convinta dalla spiegazione di Everi, ma non solleva obiezioni e cambia argomento. «Ora che si fa? Saliamo e affrontiamo Oldisia, nella speranza che liberi la ragazza prima che la sacrifichi?»
«Prima cerchiamo una cosa quaggiù», risponde la maga.
Jones l'affronta faccia a faccia. «Spiegaci cosa. D'ora in poi niente più cazzate. Il tempo stringe, le nostre risorse scarseggiano e anche se tu sembri diventata una specie di supereroina, beh, non possiamo permetterci altri passi falsi.»
A sorpresa Everi annuisce. «Oldisia viaggia per i mondi e colleziona le Incarnazioni maggiori e minori che di volta in volta le interessano. Spesso si limita a catturarle e a consumarle, altre volte le tiene come trofei.»
«Frena, frena», dice Sequoia. «Incarnazioni?»
«Esseri viventi scelti per impersonare alcune forze essenziali della natura, del ciclo della vita e della morte. In ciascun mondo del multiverso ce ne sono diverse. Spesso vivono mimetizzate nella società di cui fan parte, a volte non sono nemmeno consapevoli di essere Incarnazioni. Il loro ruolo è quello di bilanciare un particolare aspetto che in un determinato mondo risulta essere più debole rispetto all'equilibrio globale.»
Anna rimembra alcune cose imparate da sua madre. «Incarnazioni quali la Morte, la Giustizia, l'Amore, il Giorno, la Notte, la Guerra... e molte altre ancora. Secondo i testi sacri di Iside la Nera molte di esse sono identificabili nelle interpretazioni degli Arcani maggiori e minori dei tarocchi.»
«Qualcosa del genere», taglia corto Everi. «Su questo mondo, come oramai avrete intuito, Laura Elpis è l'incarnazione della Speranza. E se Oldisia se ne nutrirà, per tutti noi inizierà un'epoca molto buia, lunga e travagliata.»
«Avrei molte domande», la interrompe Jones. «Tuttavia occupiamoci di una faccenda alla volta. Hai detto che dobbiamo cercare qualcosa quaggiù, poi hai tirato fuori questa storia delle Incarnazioni. Vieni al dunque.»
«So che in questo piano c'è una sala dei trofei minori della strega. Ha lasciato qualcuna delle sue prede a Perrault, in modo che il francese potesse assorbirne il loro potere per fortificare la sua magia. Tuttavia dovrebbe esserci ancora qualche Incarnazione attiva, e noi possiamo sfruttarla per sfidare la strega.»
Il significato insito in quell'affermazione inquieta Anna, anche se comprende le motivazioni dell'amica. «Sai dove cercare?»
Everi annuisce e si avvicina a un tratto anonimo di parete, posto tra due porte lungo il lato destro del corridoio. Traccia un simbolo sul muro, più o meno come ha fatto nelle segrete di Riquet. Un secondo dopo sulla parete compare la sagoma fosforescente di un uscio. «Per di qua.»


Entrano in un laboratorio alchemico, più ordinato e moderno di quello di Riquet. Non ci sono altre porte né finestre, del resto, come intuisce Anna, si tratta dell'ennesima tasca dimensionale creata da Perrault.
Al centro della stanza c'è una sontuosa scrivania che trabocca di fogli, pergamene, libri, penne, pennini e fermacarte variopinti. Lungo le pareti laterali sono allineati due scaffali. Su quello di destra ci sono altri libri di variabili dimensioni.
Su quello di sinistra sono sistemati strumenti di precisione: bilancini, misuratori, bruciatori, lenti d'ingrandimento, gessetti colorati, astrolabi, candele, incensi e altro ancora.
Lungo la parete frontale è invece disposta un'ampia credenza dalle ante in cristallo. Anna, Everi e Sequoia si avvicinano a essa, attirati dal bagliore che filtra all'esterno, illuminando fiocamente il laboratorio.
Su tre ripiani sono riposti nove blocchi di strani minerali colorati, qualcosa a metà tra il quarzo e l'opale. Ciascuno ha un colore e una forma diversa, ma solo uno, quello più in alto a sinistra, emette una luce di colore violaceo. Sotto ciascuna pietra è sistemata un'etichetta scritta in francese.
«Traduci», ordina Sequoia ad Anna.
«Sonno, Eros, Fame, Conquista, Forza, Giudizio, Inganno, Prudenza, Vendetta.»
«Incarnazioni minori rubate in altrettanti mondi», afferma Everi, avvicinando il volto alla vetrinetta. «Fonti di magia grezza, donate da Oldisia al suo tirapiedi per rafforzare i percorsi che difendono la villa.»
«Sono pietre, non persone.» Jones scrolla le spalle, irritato. «Noi cerchiamo una ragazza in carne e ossa. O forse hai qualche altra grande verità da rivelarci tra un combattimento e l'altro?»
«Questo è ciò che rimane delle Incarnazioni uccise. Se preferisci una spiegazione più semplice, i minerali che vedi sono i loro cuori. Elementi alchemici purissimi e molto potenti. Quello di Laura Elpis è uno dei più potenti in assoluto, e noi dobbiamo impedire che la ragazza venga sacrificata.»
«Ok, su questo non ci piove.» Sequoia apre le ante della credenza. «Immagino che siamo qui per prendere l'ultima pietra ancora carica.»
«Esatto.»
«E come la useremo?», chiede Anna.

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LA SCELTA (1): Quale Incarnazione volete che sia ancora attiva?


  • Sonno
  • Eros
  • Fame
  • Conquista
  • Forza
  • Giudizio
  • Inganno
  • Prudenza
  • Vendetta

LA SCELTA (2): Quale PDV volete per il prossimo capitolo?


  • Anna/Vern
  • Everi Kendal
  • Sequoia Jones
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giovedì 9 maggio 2013

Capitolo Dodici


Sequoia è il primo a varcare la soglia. Oramai è pronto e si aspetta di tutto, specialmente brutte sorprese e mostri orrendi da combattere.
Se non altro tornare a imbracciare il suo fucile d'assalto AUG 3 gli trasmette una sensazione di sicurezza e di familiarità che renderebbe orgoglioso un qualsiasi membro della NRA.
Giusto il tempo di attraversare il buio del passaggio paradimensionale e i tre sbucano in un lungo e buio corridoio dal pavimento in parquet. Rispetto ai percorsi di Mamma Oca il cambiamento è così radicale e destabilizzante da spiazzare Sequoia per qualche istante.
Lungo entrambe le pareti del corridoio ci sono ben otto porte, quattro per lato. In fondo al passaggio si scorge invece una strana finestra rotonda, quasi simile al rosone di una chiesa. Il vetro è zigrinato e lascia filtrare solo una flebile luce dall'esterno. I vecchi lampadari che pendono dal soffitto sono spenti.
Jones accende la torcia fissata sul fucile. Questa volta funziona alla perfezione, a riprova che gli effetti della decadenza alchemica dei percorsi di Mamma Oca è finita. Fa cenno alle compagne di non muoversi. Si guarda intorno. Alle sue spalle non c'è alcuna traccia del passaggio dimensionale che hanno appena attraversato. Come volevasi dimostrare. Vede invece una scala che scende ai piani bassi della villa. Laggiù tutto tace.
Davanti a sé, a destra della finestra, intravede invece una seconda rampa di scale, questa volta che sale. Il che appare poco geometrico, ma Sequoia ha smesso di porsi problemi del genere già da ore.
«Ok signorine», sussurra il soldato dell'Ordo. «Ora che si fa?»
«C'è un problema», risponde Anna. «Sento che questo corpo che ho preso in prestito sta rapidamente disfacendosi.»
«È un oggetto che appartiene ai percorsi», le spiega Everi. «Come tale subisce gli effetti opposti che aveva la decadenza alchemica sul nostro equipaggiamento.» Detto ciò la Kendal appoggia una mano sul golem vegetale e pronuncia una formula per qualche istante. «Ho legato le materia che compone il costrutto, ma è soltanto una soluzione temporanea. Presto rimarrai priva di un ricettacolo in cui abitare.»
Sequoia è sorpreso dalla maturazione di Everi. Dal momento in cui hanno messo piede nei percorsi è diventata un'altra persona: più sicura di sé, autorevole, decisa. A Vern, invece, è toccata una brutta fine.
«Proseguiamo», ordina la Kendal. «Lo scontro con Perrault è inevitabile, ma ora siamo in grado di sostenerlo.»
«Speriamo», mugugna Sequoia, iniziando una lenta avanzata lungo il corridoio.

Quando sono a metà strada la porta in fondo a destra si apre con un cigolio da film horror. Jones si blocca e punta il fucile, pronto al peggio.
«Aspetta a sparare», gli bisbiglia Everi nell'orecchio.
Lui vorrebbe chiederle il perché, ma si limita ad annuire. I suoi superiori non approverebbero un comportamento così dimesso nei confronti di una strega ma, diavolo, è lui a trovarsi al centro dell'azione, non loro.
Dalla porta sbucano innanzitutto dieci piccoli gnomi cannibali, dello stesso genere di quelli che hanno già combattuto nel giardino della villa. Questi però sono in parte scoloriti, di nuda argilla, come se fossero incompleti. Tuttavia si muovono, digrignano i denti ed emettono l'orrido gne-gne che li contraddistingue.
Dietro di loro viene Perrault in persona, vestito con la medesima palandrana che indossava in occasione del primo incontro, parrucca compresa. Sottobraccio stringe il massiccio tomo che Anna ha rivelato chiamarsi il Libro Senza Lieto Fine.
Lo stregone si ferma nel corridoio, circondato dai suoi mostriciattoli, e fissa gli intrusi. Sfoggia il suo solito, odioso sorriso malevolo, ma sembra meno sfrontato che non in precedenza. «Bene bene bene... a quanto pare avete superato i miei percorsi.»
«Oh, è stata una passeggiata, pezzo d'idiota», gli risponde Sequoia. «Abbiamo portato anche un'amica. Spero non ti dispiaccia.»
Perrault si incupisce, ma poi allarga un braccio. «Anch'io ho con me un nuovo amico.» La porta dirimpetto si apre e ne esce Vern. Il ladro è a petto nudo, la spalla ancora fasciata da bende intrise di sangue rappreso. I suoi occhi brillano come laser nella penombra del corridoio. Vern sta parzialmente chino, in una postura che a Sequoia ricorda quella di un felino pronto ad attaccare.
«Ehi amico», lo chiama, «come stai?»
«Il veleno della lamia ha fatto il suo lavoro», interloquisce Perrault. «Più potente del morbo del vampirismo, più perfetto nel costruire predatori letali. E lui ora è con me, perché sa che solo io posso curarlo. Ammesso che lo voglia.»
Sequoia centra il francese nel mirino dell'AUG: «Che ne dici se ti convinco io a curarlo, magari con una bella iniezione a base di piombo, brutta faccia da culo?»
«Aspetta.» Everi gli mette una mano sulla spalla e lo affianca, rivolgendosi poi al francese. «Perrault, mi è ora evidente che il tuo ruolo in questa storia è quello dello stupido cane da guardia della vecchia Oldisia. Anche tu, in cuor tuo, ne sei consapevole.»
«Cosa vai dicendo, sgualdrina?», sbotta lo stregone, offeso.
«La vecchia è potente al punto da viaggiare tra i mondi e di intrappolare le personificazioni degli archetipi collettivi, così come sta facendo in questo universo, con la ragazza che cerchiamo. Tu invece chi sei? Un cialtrone che dà vita a dei burattini folli e perversi. Ora che il mondo da cui vieni si è liberato di te, non sei altro che un esiliato, ridotto a servire chi è infinitamente più forte di te.»
«Attenta donna, perché potrei ucciderti in modo molto doloroso», sibila Perrault.
Everi ignora la minaccia. «Ti do una sola possibilità di arrenderti e di rifugiarti in uno dei percorsi che hai creato. Ne abbiamo ripuliti parecchi, perciò dovresti trovare spazio. Sarai doppiamente esiliato, ma almeno ti concederemo di vivere.»
«Devi essere impazzita. Se credi di aver scoperto tutti i miei segreti grazie al contatto con quell'orrore ambulante di Riquet, sei destinata ad avere una brusca sorpresa.»
«Dunque rifiuti», continua la Kendal, impassibile. «Meglio così: sarà un piacere liberare il mio mondo da un mostro come te.»
«Ora basta! Schiavi, uccideteli!» Perrault solleva di nuovo il braccio libero, indicando i nemici. Gli gnomi e Vern si lanciano all'attacco.



Everi si rivolge agli amici. «Voi badate a Vern e ai mostriciattoli, io penso al francese.»
Sequoia avrebbe tante domande da farle, ma oramai il dado è tratto. È suo dovere difendere la Kendal, in modo che possa ingaggiare la sua battaglia contro Perrault.
Si accorge che Vern sta puntando alla ragazza, riconoscendo in lei la principale minaccia per il suo nuovo padrone. Sequoia sa che non gli basterà sparare allo stregone per ucciderlo, non con tutte le formule di protezione con cui si sarà preparato a quello scontro. Decide quindi di concentrarsi su Achilles.
Apre il fuoco su di lui, centrandolo con una breve raffica in pieno petto. Vern vacilla e viene sospinto indietro, tuttavia non cade. Le armi comuni hanno scarsa efficacia contro le creature fatate. Il ladro si rialza appoggiandosi al muro. La sua mano lascia una serie di lunghi graffi sulla parete, a dimostrazione della sua nuova forza sovrannaturale.
Approfittando del piccolo vantaggio ottenuto, Jones raggiunge e mette all'angolo l'ex compagno di squadra, lasciando così libera Everi, che avanza verso Perrault, pronunciando incantesimi.
Gli gnomi sciamano tra le gambe di Sequoia, che si limita ad allontanarli a calci. Dietro di lui Anna sta facendo del suo meglio per combattere i piccoli obbrobri, mulinando la sciabola a destra e a manca.
Il guerriero dell'Ordo guarda Vern faccia a faccia, puntandogli il fucile addosso, quasi a bruciapelo. «Amico, mi spiace. Vorrei che ci fosse un modo diverso per risolvere la faccenda.»
La mano destra del ladro scatta, veloce come la coda di uno scorpione. Afferra la canna dell'AUG e la torce con un movimento secco. Sogghigna: «Ehi Conan... mi sa che qui non sono io a dovermi preoccupare.»
Sequoia indietreggia di un passo ed estrae la semiautomatica. La sberla di Vern lo sferza come una frusta, molto più rapida di un normale movimento umano. Colpisce il soldato alla mano, costringendolo a mollare la presa sulla pistola. Un istante dopo Jones si trova con le dita del ladro strette al collo. È come una morsa meccanica, forte e sicura. Da così vicino nota che i denti di Vern sono ora affilati, simili quelli di un alligatore.
«Senza rancore», gli sussurra il mostro. «È che la sete è troppa.»
«Senza rancore», rantola Sequoia. Un secondo dopo mette mano al pugnale che Vern tiene infilato nella cintura dei pantaloni, lo stesso che lui gli ha donato poco prima dell'incontro con Riquet. Con l'abilità acquisita in anni di addestramento Jones se lo rigira tra le dita, quindi lo conficca nel fianco sinistro del ladro.
Vern Achilles lascia andare la sua preda e cade in ginocchio, gemendo e imprecando. A quanto pare il pugnale di Megiddo è più che sufficiente a fargli del male. Appena fa per sfilarselo dalla ferita, Sequoia lo colpisce con un calcio in faccia, sbattendolo contro la parete. Approfitta poi del vantaggio per recuperare la pistola da terra. Con un movimento rapido sostituisce il caricatore normale con un altro, custodito nella tasca laterale dei pantaloni. Questo contiene proiettili benedetti col sangue di un vero martire, merce rara e preziosa persino per l'Ordo. Punta l'arma alla fronte di Vern, ignorando uno gnomo che tenta invano di mordergli la gamba, col solo risultato di addentare il cuoio dello stivale.
«Aspetta!» L'urlo di Anna distrae Sequoia. La ragazza-golem gli arriva a fianco, dopo essersi liberata di tutti gli altri mostriciattoli.
Poco più avanti nel corridoio Everi e Perrault sono avvolti in una coltre luminosa che distorce l'immagine di entrambi, come in un miraggio dovuto dal calore. Sembrano immobili, ma Jones ne sa abbastanza di magia per comprendere che il loro scontro potrebbe essersi spostato su altri piani di realtà.
«Che vuoi?», chiede ad Anna, senza perdere di vista Vern, che potrebbe riprendersi in un attimo.
«Ora che so di essere in grado di farlo, lasciami possedere il suo corpo. Forse posso salvarlo, o almeno ritardare l'inevitabile.»
Sequoia esita, ma non può concedersi più di un solo secondo di indecisione.


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LA SCELTA


  • Volete che Sequoia conceda ad Anna il tentativo di controllare il corpo di Vern?
  • Preferite che Sequoia giustizi il ladro?
  • Oppure preferite che il prossimo capitolo si concentri con lo scontro tra Everi e Perrault?

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giovedì 2 maggio 2013

Capitolo Undici


Everi valuta per l'ennesima volta la situazione.
Non crede di potersi fidare fino in fondo di Riquet, che è e rimane una creatura artificiale, nata dall'alchimia di Perrault. Il desiderio del principe di liberarsi dall'influenza del suo padrone sembra reale, tuttavia alla Kendal riesce difficile credere che lo stregone francese lo abbia lasciato in vita col rischio di trovarselo contro come nemico.
Everi percepisce il crescente nervosismo di Sequoia e il malessere di Vern, nel cui corpo scorre il veleno della lamia, per quanto cerchi di nasconderlo. E Anna? Dov'è finita? Di certo la ragazza-fantasma sta tentando qualche stratagemma in combutta con Vern.
«Il tempo sta scadendo», dice Riquet, che per quasi venti minuti è rimasto seduto e immobile, in attesa di una decisione.
«Accetto la sua proposta», risponde Everi.
«Un momento», interviene Sequoia. «Io non sono d'accordo. Ci stiamo ficcando in una cazzo di trappola.» Il gigante mette mano alla spada. «Ho in mente un altro metodo per uscire da questo posto.»
I golem di guardia si muovono, pronti a difendere il loro signore. Anche Vern si stacca dal muro a cui è appoggiato, estraendo il pugnale dalla cintura. Nei suoi occhi brilla una luce rossa, incandescente. Everi si alza e allarga le braccia. «Fermi tutti. Ho detto che accetto la proposta. So cosa faccio.» Appoggia una mano al petto di Jones. Questo gesto ha l'effetto di calmarlo.
«Sei sicura?», le domanda.
«Sì.»
Jones si volta verso Vern. «Tu? Non dici nulla?» Si accorge poi che nel ladro c'è qualcosa che non va e non aggiunge altro.
Vern indietreggia e si appoggia di nuovo al muro. «Fate quel che volete, io ho bisogno di prendere un po' d'aria. Principe, posso uscire?»
Riquet lo squadra coi suoi occhi asimmetrici. «Vai. Forse, a scambio avvenuto, potrò aiutarti col tuo problema
Senza aspettare altro il ladro sguscia dalla stessa porta da cui sono entrati e svanisce nel corridoio. «Ehi! Torna indietro!», lo richiama Sequoia.
«Lascialo andare», taglia corto Everi. Preferisce non avere Vern tra i piedi, non in quelle condizioni. Semmai ci penserà più tardi a come sistemare quel brutto guaio. «Sequoia, vorrei che anche tu aspettassi fuori.»
«Non ci penso nemmeno.»
«Allora promettimi di tenere gli occhi chiusi finché non ti dirò di riaprirli.»
Riquet ridacchia. «Forse è meglio obbedire a Lady Kendal, soldato. Non sei certo in grado di sopportare la vista del mio brutto viso.»
«Va bene», grugnisce Sequoia. «Ma se le farai del male io ti staccherò quella testa a forma di culo dal collo. A costo di doverlo fare a occhi chiusi.»
A sorpresa Everi prova una punta di orgoglio per l'affetto che le dimostra Jones. Poi spazza via tutti quei pensieri. Deve concentrarsi: non le aspetta un compito facile.

Riquet e la Kendal siedono l'uno di fronte all'altra, faccia a faccia. L'elmo del principe nasconde i suoi lineamenti, tranne gli occhi e la bocca, che paiono sì deformi, ma non al punto da far perdere il senno a chi li osserva. Quindi c'è dell'altro, ipotizza Everi, mentre rielabora mentalmente la prima e più importante formula magica che conosce.
«Il procedimento è semplice» spiega Riquet. «Non perda il contatto diretto coi miei occhi. Cerchi di ricordarsi sempre che, qualunque sia la mostruosità che vedrà, dietro di essa mi nascondo io, e che non le sono nemico.»
Everi guarda Sequoia, che si è appoggiato allo stesso punto precedentemente occupato da Vern. Jones ha gli occhi chiusi e tiene la spada puntata a terra, tra le gambe. Sembra davvero Conan, così come il ladro l'ha apostrofato spesso in precedenza. Un pensiero della Kendal va a Vern. Cancella anche quella distrazione. Semmai ci penserà più tardi. «Ho capito tutto», conferma a Riquet. «Sono pronta.»
Il principe annuisce e sospira. Per un attimo sembra lui quello più teso lui per ciò che sta per accadere.
Il gobbo si sfila l'elmo con lentezza. La Kendal mantiene il contatto visivo, senza smettere di subvocalizzare la formula che ha scelto.
Quando finalmente Riquet rimane senza borgognotta, il suo aspetto pur deforme non appare poi così insopportabile. Certo, naso, bocca, occhi e zigomi sono tutti spostati, asimmetrici, segnati da tumori sottocutanei che lo rendono ripugnante.
La mutazione ha luogo quasi subito, prima ancora che Everi inizi a sperare in una soluzione semplice di quella faccenda.
Dal naso, dalla bocca e dalle orecchie del principe spuntano orrende zampe di ragno nere e pelose. I suoi occhi si assottigliano ed estroflettono dei corti, orrendi tentacoli neri, che frustano l'aria come mani di un feto informe. Il ciuffo di capelli del principe prende vita e si agita a casaccio, simile a una medusa o una tenia, producendo tra l'altro uno stridio da insetto.
Everi si schiaccia sullo schienale, orripilata. Si accorge che Riquet sta anche emanando qualcosa, feromoni o simili sostanze, che aggrediscono i suoi ricettori. Nella mente della donna iniziano a formarsi immagini orrende ed estremamente realistiche, tanto all'improvviso si trova immersa in uno strato di ragni che la inghiotte fino al bacino e va ad aumentare.
A quel punto capisce di dover agire.
Pronuncia la formula, la stessa che la sua maestra le ha imposto di conservare per i momenti cruciali della sua vita. Così facendo svela uno dei Misteri Eleusini a cui è consacrata e mette a nudo la sua vera natura.
«Riquet», esclama, con voce cavernosa, che viene dal mondo ctonio a cui si è ora aperta e donata. «Capisci questa lingua?»
Il principe-mostro rallenta i movimenti delle sue tante orribili appendici e si ritrae di qualche centimetro sulla sedia. «La lingua antica... la comprendo solo in parte. Ma tu...»
«Silenzio!», ordina Everi. «E non staccare il contatto visivo.»
I piccoli tentacoli oculari si tendono verso la ragazza. «Puoi liberarmi da questa maledizione?»
La Kendal è sommersa dalle allucinazioni indotte dai feromoni del principe. Tra di esse filtrano però anche informazioni e visioni su Perrault, sui percorsi di Mamma Oca e sulle creature che li popolano. Riquet non mentiva. «Posso farlo, ma non nel modo che speri tu.» Vincendo la repulsione afferra il polso destro del principe. «Sei un povero costrutto innaturale, condannato a un'esistenza miserevole.»
«Tu sei l'incarnazione di...»
«No! Sono solo una custode.»
Sequoia urla, incapace di comprendere quello scambio di battute: «Che succede? Everi, rispondimi!»
Ma la ragazza non può rispondere, deve solo sperare che il soldato dell'Ordo non apra gli occhi. «In nome di Demetra Erinys io ti impongo il ritorno alla Madre.»
Il potente anatema, la rivelazione della Dea, agisce all'istante. I singoli elementi che compongono il principe vengono slegati l'uno dall'altro, in un rapidissimo processo di decadimento, di ritorno all'ordine naturale. Il corpo di Riquet si stacca letteralmente a pezzi, ragni e altri insetti vengono eruttati dai suoi orifizi, sgonfiando il corpo e il volto del gobbo.
Il principe cerca di alzarsi e di parlare, ma non ci riesce. Fa giusto in tempo a scostare la sedia, poi si frantuma del tutto, sparpagliando brandelli rinsecchiti sul pavimento, a malapena coperti dai nobili vestiti che indossava.
Everi smette di pensare e di sussurrare la formula. Il distacco dalle forze che incanalava è doloroso quanto un pugno allo stomaco. Rimane boccheggiante, con la fronte appoggiata al tavolo. Si rende a malapena conto di aver lasciato un'ombra nera, come un'immagine in negativo, laddove era seduto Riquet.
«Sequoia», biascica, stremata. «Puoi riaprire gli occhi.»


Jones osserva i miseri resti di Riquet, a metà tra l'attonito e il ripugnato. Si fa il segno della croce, sussurrando una preghiera. «Cosa diavolo hai combinato?, domanda a Everi. «Si tratta di qualche incantesimo, vero? Vi sentivo parlare in... cos'era? Enochiano?»
«Ora non ha importanza.» La ragazza si aggrappa al bicipite del guerriero per alzarsi. Tra la battaglia contro le arpie e il confronto con Riquet ha consumato molte energie. «Ancora non ti fidi di me?»
Sequoia scrolla le spalle e accantona il discorso, concentrandosi sui golem armigeri, che però sono immobili. Forse la morte del loro creatore li ha disattivati. «Almeno tutto questo è servito a qualcosa?», le chiede Jones.
«Ora so come uscire dai percorsi di Mamma Oca», conferma Everi. «Possiamo tornare alla villa e affrontare Perrault.» Indica i resti del principe. «Questo poveraccio non mentiva.»
«Cerchiamo Vern e andiamocene», chiosa Sequoia.
In quel momento la doppia porta sorvegliata si spalanca. Un golem vegetale, privo di vestiti e di armi, entra nel salone a passo spedito. Jones alza la spada, pronto ad affrontarlo.
«Non attaccare», esclama il costrutto, con voce che ricorda il rumore di legni spezzati. «Sono Anna.»
«Anna?»
«Non dovete fidarvi di Riquet», prosegue il golem. «Nelle segrete sono rinchiuse le poveracce che il principe ha fatto impazzire.»
«Non preoccuparti», le replica Sequoia. «Everi l'ha steso per bene. Nuclearizzato. KO definitivo. Tu, piuttosto, puoi tenerti quel corpo? Saresti più utile che in forma ectoplasmatica.»
«Posso farlo, sì. Ma dov'è Vern?»
«Il veleno della lamia lo sta trasformando in qualcosa di brutto», le risponde Everi. «È fuggito, ma forse è meglio così.» La ragazza, per quanto stanca e provata, si sente pervasa da una nuova sicurezza.
«Non possiamo abbandonarlo», supplica Anna. «Nel laboratorio di questo castello ci sono pozioni, elisir... forse c'è qualcosa che può aiutarlo a guarire.»
La Kendal ci pensa su un attimo. Ora che sa come affrontare Perrault sente l'urgenza di proseguire la missione. Però Vern è un amico e fino a quel momento si è comportato assai meglio del previsto. «Va bene. Cerchiamolo per mezz'ora, non un minuto in più.»

La reggia di Riquet si rivela ricca di saloni, alcuni spogli, altri arredati con mobilio elegante. I golem presenti a palazzo sono oramai tutti inanimati, congelati nel tempo dalla morte del loro padrone.
Anna scorta Sequoia ed Everi nei sotterranei, dove oltre al laboratorio alchemico trovano le prigioniere, tutte d'aspetto ferale, folli e ben oltre la redenzione. Jones le osserva, colpito. «Sarebbe più misericordioso ucciderle, se non possiamo salvarle.»
Everi scuote il capo. «Potrebbe sbilanciare il risultato del rituale di madame Oldisia a suo favore. Ogni gesto di disperazione lo alimenta. Perfino la sconfitta di Riquet in un certo senso gioca a suo favore.»
«Ti interessa solo di questo?»
«No, ma cerco di essere pratica.» La Kendal distoglie lo sguardo dalle donne che ringhiano verso di loro. Cosa prova per quelle poverette? Nulla?
Anna ritorna dalla sua esplorazione del resto delle segrete. Ora indossa una casacca da armigero e porta una sciabola al fianco e una balestra sulla schiena. «Non c'è traccia di Vern.»
«Potrebbe essersi nascosto da qualche parte nel bosco», ipotizza Sequoia. «Per non farci del male.»
«Oppure Perrault è venuto a prenderlo», commenta Everi, pensierosa. «A ogni modo non possiamo attardarci ulteriormente ad aspettarlo.» Ciò detto si avvicina a quella che appare come una porta murata del laboratorio, delineata da una cornice in basalto, su cui sono appollaiati due piccoli gargoyle. Grazie alle conoscenze assorbire da Riquet la ragazza sa cosa fare. Pronuncia una semplice formula d'apertura e al contempo col dito traccia un simbolo sui mattoni, seguendo le linee immaginarie della Costellazione della Gru. Subito il muro diventa evanescente e poi svanisce, lasciando una vuota tenebra dietro di essa.
«L'accesso agli appartamenti di Oldisia», dice Everi, indicando il passaggio. Nota che Sequoia è titubante, così come Anna, anche se dal suo volto ligneo non può trapelare alcuna emozione.
Jones imbraccia il fucile d'assalto. A breve gli tornerà utile. «Allora è deciso. Ce ne andiamo.»
«Ciò che possiamo fare per Vern è proseguire la missione.»
«Certo», taglia corto Sequoia, che tuttavia è ancora poco convinto.
«Raccogli qualche oggetto da questo laboratorio. Quello che ti può sembrare utile», suggerisce Everi ad Anna. «Ma fai in fretta. Ce ne andiamo fra due minuti.»


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LA SCELTA: Quale POV desiderate per l'ingresso negli appartamenti della strega Oldisia?


  • Quello di Everi Kendal.
  • Quello di Sequoia Jones.
  • Quello di Anna Bonacieux.

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giovedì 25 aprile 2013

Capitolo Dieci


«Va bene», risponde Everi al principe. «Accettiamo il suo invito.»
Sequoia, al suo fianco, non pare entusiasta, ma non commenta. Si limita anzi ad annuire, aggiustandosi il grosso zaino sulla schiena.
«Seguitemi, vi farò strada personalmente.» Riquet smonta da cavallo ed entra nella sua reggia, senza togliersi di dosso l'elegante armatura.
Everi e Sequoia obbediscono, lasciando però qualche metro di distanza tra di loro e il padrone di casa. Anna si accoda, pur essendo poco convinta della scelta fatta dai suoi nuovi compagni. Per natura non si fida delle creature di Perrault, e Riquet ha dichiarato senza mezzi termine di essere uno di loro.
Vern richiama l'attenzione della ragazza-fantasma con un fischio. Anna si volta. Il ladro ha un aspetto strano. È sudato, nervoso e ha le pupille dilatate. Le ricorda alcuni cortigiani che frequentava, soliti ad abusare di incensi fatti arrivare dal lontano Oriente. «Che c'è?»
«Fantasmino, devi farmi un favore», sussurra.
«Non capisco cosa...»
«E allora taci e ascolta. Non mi fido di quel mostro, a differenza dei miei due colleghi, che a quanto pare si sono bevuti il cervello a colazione.» Mentre parla Vern continua a massaggiarsi la spalla ferita. «Tu sei immateriale. Fatti un giro in questo palazzo e scopri cosa nasconde il principe aborto.»
«Le tue parole sono crudeli, ma condivido il tuo scetticismo.» Oramai sono a pochi passi dall'ingresso della reggia. Sequoia si volta e squadra malamente Vern e Anna, che si attardano a confabulare. «Che fate voi due?»
La ragazza sa di dove decidere in quell'istante cosa fare. La morte, che da moltissimi anni l'ha oramai colta, annulla tante umane miserie, ma non la paura. È conscia del fatto che i trafficanti di magia come Perrault, Oldisia e forse anche Riquet, conoscono molti modi con cui farle del male, nonostante non sia più viva. Eppure non tentenna più di tanto. «Io non posso entrare», esclama. «Per me sarebbe come ritornare al passato, nelle aule del crudele messer Barbablù, che causò la mia morte.»
Everi e Riquet si fermano a loro volta e la guardano. L'incantatrice e Sequoia hanno probabilmente intuito che Anna e Vern stanno escogitando qualcosa. Per fortuna entrambi tacciono, anche se il soldato ha un'espressione irritata dipinta sul volto. Il principe invece non batte ciglio. Del resto fin dal primo istante non ha dato molto peso ad Anna, considerandola forse poco più che uno scarto ectoplasmatico privo d'importanza. «Dunque aspetterai qui i tuoi compagni. Gira liberamente per il giardino, se preferisci.» Ciò detto Riquet si volta di nuovo ed entra a palazzo.
Sequoia ed Everi lanciano le un'occhiata perplessa ma non possono fare a meno di seguire il principe. Vern invece le passa a fianco e le strizza l'occhio. «Grazie dolcezza. Se scopri qualcosa di losco avvertici. Fallo prima che quei due fessi ci facciano finire male.»
«Ma io...» Anna non può concludere la sua domanda. Affrettando il passo Vern raggiunge i compagni e insieme a loro sparisce all'interno del palazzo.



La ragazza si guarda intorno per qualche istante, smarrita.
Il parco della reggia è come un quadro che immortala un meriggio primaverile, quieto e ordinato. I golem giardinieri proseguono nel loro lavoro senza badare a lei.
Anna conosce la natura artificiale e illusoria dei percorsi di Mamma Oca. Le strane persone a cui si è aggregata, dopo anni di prigionia, rappresentano la sua unica speranza di libertà. Per questo è disposta ad addentrarsi da sola in quel palazzo sconosciuto.
Ma a cosa può ambire un fantasma? Quale futuro può avere? Si domanda con tristezza, prima di iniziare l'esplorazione.
Gira attorno alla reggia, passando dal lato opposto delle scuderie, assai poco desiderosa di incontrare i catafratti del principe. L'edificio è imponente, ricco di dettagli nei fregi che adornano i cornicioni e i davanzali delle finestre abbellite da ricche tende ricamate. Probabilmente anche nel suo mondo, quando ancora era una donna in carne e ossa, esisteva un Riquet. Forse Perrault l'aveva destinato in qualche propaggine occidentale del regno del Re Sole, laddove serviva a irridere e a spaventare gli Asburgo di Spagna, a cui il principe deforme si rifà.
Anna si ferma sul lato sinistro della reggia. Sbirciando oltre le tende non ha visto altro che una serie di eleganti sale, non a caso sistemate secondo lo stile amato da Perrault, che alla corte francese occupava anche il ruolo di grande arredatore. Decide di entrare in un punto a caso, in una stanza vuota tra le tante.
Attraversare il muro le causa il consueto disagio, dato dal sentire l'essenza fluida di cui è composto il suo corpo che si mischia con la solidità della pietra. Una volta all'interno la ragazza nota che le sale, per quanto sontuose, danno l'impressione di essere assai poco utilizzate, così come testimonia la tanta polvere che copre il mobilio.
Senza più esitare si mette a gironzolare nella reggia, attenta soltanto a non farsi sorprendere da qualche servitore ligneo. Visita soggiorni, sale di lettura, un'ampia sala da ballo, ma anche stanze vuote e meste. Si ferma quando sente un chiacchiericcio alla sua destra. Con cautela si avvicina al muro e riconosce la voce di Riquet, che parla nel suo inglese fortemente accentato.
Anna sporge la testa nella parete, ignorando il disagio e stando ben accorta a non comparire completamente dall'altro lato, dove potrebbe essere vista.
Oltre il muro c'è una sala da banchetti, ricca di quadri e trofei guerreschi, con un lungo tavolo da almeno venti posti situato al centro. Due armigeri artificiali, di legno e verzura, sorvegliano l'uscita principale, fermi ai lati della porta a doppio battente, armati di lunghe alabarde. Riquet siede a capo tavola, mentre Everi e Sequoia sono accomodati ai due lati. Vern è invece appoggiato alla parete opposta a quella da cui sbircia Anna.
Il principe si è tolto i guanti d'arme e gli spallacci, ma indossa ancora la borgognotta decorata. «Dunque voi mi avete domandato di essere lesto a raccontare, e questa che vi ho detto è la mia storia», conclude Riquet. «Ora sono io che vi chiedo, nello specifico a lady Kendal: volete aiutarmi, e al contempo aiutare voi stessi?»
Sequoia incrocia le possenti braccia al petto, nervoso. «Mi faccia capire: Perrault le ha donato una bruttezza senza pari, tale da far perdere il senno a chi ha la sfortuna di guardarla senza maschera. Se però troverà una donna dallo stomaco abbastanza forte da non farsi venire un ictus mentre la osserva faccia a faccia, lei potrà renderla... cosa? Più intelligente?»
«Sunto rozzo, brutale e impreciso», commenta il principe a denti stretti. «La mia natura è tale che se una donna riuscirà a guardarmi senza ripugnarsi e impazzire, la mia deformità verrà curata. In cambio io trasmetterò alla dama misericordiosa tutta la mia conoscenza di colui che mi creò, ossia il crudele Perrault.»
«Una sorta di legamento d'amore molto più complesso e vincolato a un unico scambio d'emozioni», intuisce Everi.
Sì, pensa Anna, che di magia comprende alcune cose, grazie alle conoscenze tramandatele dalla sua povera madre. È così!
«In un certo senso», conferma infatti Riquet. «Proprio per questo ritengo che lei sia la donna giusta: lei capisce, lei può farcela. Non come le poverette che Perrault mi buttava in dono, sapendo che non avrebbero retto la prova.»
E la loro disperazione alimentava il lento rituale del malvagio stregone e della sua padrona, intuisce la ragazza-fantasma. L'abominio non ha fine.
Inconsapevolmente Riquet conferma i pensieri di Anna. «Quando mi rifiutai di continuare il gioco di Perrault, lui cancellò quasi tutti gli ingressi a questo mio piccolo mondo. Ma io non ho mai smesso di sperare che un giorno una pia donna arrivasse a salvarmi.»
«E perché mai Perrault l'avrebbe creata trasferendole parte del suo sapere?», interloquisce Vern, che ad Anna appare sempre più tirato in viso.
«Lo stregone mi ha dato la vita iniettando il suo stesso seme nel ventre di una cavalla. Parte di ciò che era in lui è stato trasmesso in me.»
«Dio, che schifo», risponde il ladro, senza riuscire a trattenersi.
«Sei crudele, ometto.» Riquet sembra sul punto di perdere la pazienza. Per fortuna Everi interviene.
«Mi dica, principe: cosa potremmo guadagnarci da questa condivisione?»
«Mia lady, lei guarda all'aspetto pratico del nostro patto, questo è saggio.»
«Non c'è ancora un patto», precisa Sequoia.
Riquet lo ignora. «Vi trasmetterò tutto ciò che so a proposito della magia di Perrault. Tanto vi basterà ad affrontarlo ad armi pari. Non avrete più bisogno di affrontare i percorsi. Sarete pronti a combatterlo.»
«Inoltre la sua rinnovata speranza, principe, inquinerà ulteriormente il rituale dello stregone e della sua padrona», aggiunge Everi, che sta valutando la proposta dell'homunculus.
«Esatto!»
«Aspetta un momento. Non ti fiderai davvero di quest'uomo, vero?» Sequoia si agita, pronto a combattere.
«Calmati», lo quieta Everi. «Stiamo solo parlando.» Quindi torna a rivolgersi al padrone di casa. «Devo pensarci su.»
«Mi pare giusto.» Il gobbo Riquet sembra sorridere, anche del suo viso trapelano solo pochi dettagli. «Vi concedo venti minuti. Del resto siete voi ad aver fretta, dico bene?»
Anna giudica di aver sentito abbastanza. Si ritrae e smette di spiare.



La ragazza è turbata e confusa. Non sa cosa pensare. Per indole non si fida delle creature di Perrault. La storia di Riquet potrebbe essere soltanto una complicata trappola di quelle che piacciono allo stregone. O forse no?
Schizza via, ricordando ciò che le ha chiesto Vern. Deve scoprire se la reggia nasconde qualche segreto, qualche indizio rivelatore. Approfittando della sua natura incorporea, Anna attraversa pareti e mobili, muovendosi a una velocità superiore a quella umana. Il primo piano non nasconde sorprese, se non una mezza dozzina di golem vegetali, tra cui altri tre armigeri, e gli altri vestiti da inservienti. Nessuno creatura la vede passare.
Scivola nel pavimento per cercare le cantine del palazzo. Le trova un po' a fatica, dopo essere filtrata attraverso qualche metro di spessa pietra. È un'esperienza che si rivela assai poco piacevole. Scopre infine il laboratorio magico di Riquet, una vasta stanza segreta dal soffitto arcuato. Dei globi luminosi appesi alle pareti la illuminano a malapena. Forse al loro interno vi sono intrappolati degli hinkypunk, i piccoli folletti della luce che Anna ha visto alcune volte nel suo mondo natio.
Strumenti alchemici, alambicchi e libri di incantesimi, di sortilegi e d'astrologia affollano il nucleo centrale del laboratorio. In un angolo della stanza sono accatastate delle pile di legna, di frutta, di verdura, e anche alcuni secchi pieni di foglie e di fascine d'erba.
Appoggiate alla parete lì accanto si vedono due golem vegetali costruiti per metà, più un terzo totalmente integro, ma ancora inanimato.
Anna vorrebbe tanto poter aprire quei libri, annusare le essenze chiuse nei barattoli, nelle fiale e nelle boccette, ma l'assenza di un corpo fisico le impedisce di farlo. È una sensazione frustrante. I suoi pensieri vengono distratti da un gemito animale. Viene dal secondo troncone del laboratorio, un'alcova oscura che non ha ancora esplorato.
La ragazza-fantasma fluttua in quella direzione. Entra in una stanza semicircolare, in nuda pietra, in cui sono allineate delle gabbie simili a quelle usate per rinchiudere le belve pericolose. Solo che in quelle gabbie non sono custodite delle fiere, bensì otto donne seminude, dall'aspetto selvatico e folle. Sono magre, scapigliate, sporche, coi corpi coperti di graffi e lividi. Alcune di loro indossano i brandelli degli strani abiti del mondo da cui vengono anche Everi, Vern e Sequoia.
Appena si accorgono di Anna, le selvagge si lanciano contro le sbarre, grugnendo e gemendo. Sono completamente fuori di senno, oramai simili a bestie. La ragazza capisce: è stato il principe Riquet a ridurle così, mostrandosi a loro senza maschere né veli.
Perché per Everi dovrebbe andare diversamente?
Anna sente l'urgenza di dover far qualcosa. Torna in laboratorio, colta da un'idea. Il golem inanimato è un ricettacolo, pronto a ricevere una scintilla di vita. Senza rifletterci troppo si infila nella bocca del costrutto, ricavata da un intreccio di rametti e da un melograno.
Possedere un corpo è una cosa che sa di poter fare, ma non ha mai avuto modo di provarci. Immediatamente sente il legno fondersi con l'ectoplasma. La sensazione è strana, innaturale. Le viene la tentazione di uscire, di staccare il contatto. Decide di resistere.
Dopo qualche istante si accorge di aver mosso il braccio destro del golem. Prova a fare qualche passo. Ci riesce.
È pronta ad agire.

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LA SCELTA


  • Volete che Everi si sottoponga alla prova richiesta dal principe Riquet, prima che Anna riesca a intervenire?
  • Preferite che Anna intervenga con la forza, sfruttando il golem che ha preso in prestito?
  • Oppure credete che tocchi a Sequoia intervenire per rifiutare la proposta di Riquet?

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NB.: Le prime due immagini utilizzate per questo capitolo sono di proprietà di Dan Hillier.

giovedì 18 aprile 2013

Capitolo Nove


Vern si tocca la spalla, cercando di nascondere una smorfia che non è di dolore, bensì di disappunto. La ferita non sanguina più né gli fa male. Dubita che sia solo grazie all'effetto del cicatrene e del bendaggio, quindi sa di doversi preoccupare. Sa anche che non deve mostrarsi troppo nervoso, perché i suoi compagni potrebbero decidere di lasciarlo indietro. «Perché dobbiamo infilarci proprio in quella botola?», chiede a Everi, che sta osservando l'incisione sulla medesima.
La Kendal allarga le braccia: «Lascia che ti spieghi. La magia che ha creato questi luoghi, voglio dire, i percorsi di Mamma Oca, è paragonabile a un complesso software che disegna mondi di realtà virtuale.»
«Non vorrai dirmi che siamo in una specie di Second Life», commenta il ladro, perplesso.
«Non proprio. I percorsi sono concreti. Solo il principio che ne regola la formazione è simile al linguaggio informatico.»
«Il che ci dà la conferma che Perrault è una carogna piena di risorse», sottolinea Sequoia, sputando a terra.
«Già», concorda Everi.
«Torniamo alla botola», insiste Vern. «Perché scegliere una deviazione di cui non conosciamo nulla? Non ti bastano i casini che già dobbiamo affrontare?»
«Perché, se per un momento immagini tutte queste tasche dimensionali come lo scenario di un programma informatico...»
«Qua sotto potrebbe esserci un bug di sistema», intuisce finalmente il ladro. «O un livello segreto.» Alza gli occhi su Anna, che se ne sta in un angolo, a fluttuare a pochi centimetri da terra. «Tu non ne sai nulla?»
«Nel mio mondo i percorsi magici di Perrault erano assai numerosi. So per sentito dire che a volte ne distruggeva qualcuno, forse soltanto perché gli veniva a noia. O magari perché smetteva di funzionare secondo il suo volere.»
Jones sbuffa e flette i muscoli. «Basta chiacchierare. Muoviamoci. Una strada vale l'altra, a questo punto. Se abbiamo la possibilità di rovinare la festa al francese, beh, vale la pena sfruttarla.» Detto ciò afferra il moncone di una picca rugginosa, recuperata tra le rovine, e la usa per far leva sulla botola. Non senza una certa fatica riesce a rovesciarla di lato. I quattro si trovano a fissare un buco oscuro da cui si sollevano fili di nebbia biancastra.
Sequoia mugugna. «Non c'è che dire: gli ingressi ai percorsi sono sempre invitanti.» Quindi lancia una rapida occhiata ai compagni e s'infila nel buco con un gesto atletico, scomparendo nelle tenebre.

Vern è l'ultimo a passare, dopo Anna, che si è limitata a fluttuare attraverso l'oscurità. Il ladro si cala nella botola senza provare alcun dolore, nemmeno nel momento in cui mette in movimento la spalla ferita per calarsi di sotto. Si aspetta di cadere malamente, invece i suoi piedi toccano terra dopo un saltello di poco più di un metro.
Si accorge di essere atterrato, non capisce bene da dove, sul pavimento in marmo di un colonnato a pianta quadrata, un edificio aperto ai lati, che dà su un parco ombroso, ben più ordinato e geometrico rispetto al bosco della Bella Addormentata.
Sequoia, Everi e Anna sono lì accanto e si guardano attorno. Vern invece osserva verso l'alto, notando soltanto il tetto in pietra grigia della struttura, forse un tempietto. Non c'è nessuna traccia della botola, niente di niente. Maledice tra sé e sé la lamia, non soltanto per la ferita che gli ha inflitto: nella colluttazione con la creatura ha anche perso gli occhialini incantati di Perrault, che in quell'occasione gli sarebbero tornati utili.
«Dove siamo finiti?», domanda Jones, scendendo per primo i tre gradini dell'edificio.
Il ladro si rivolge alla Bonacieux: «Casper, tu riconosci questo posto?»
«Vorrei che la smettessi di chiamarmi con un nome non mio.»
«Quello che vuoi, ma tu rispondi alla domanda.»
«No, non riconosco questo posto.»
Vern fa una smorfia e raggiunge Sequoia. Il gigante, vedendolo arrivare, si volta e alza di qualche centimetro la spada. «Non venirmi alle spalle.»
«Qual è il tuo problema, Conan? Non vedi che non mi è successo nulla?» Non ancora, aggiunge tra sé e sé. Ma il formicolio che sente lungo tutto il braccio sinistro, partendo dal morso sulla spalla, gli fa temere il peggio.
«È un tempio astrologico», dice Everi, interrompendo il battibecco. La maga è scesa a sua volta e sta osservando i bassorilievi esterni, che rappresentano personificazioni di costellazioni, simboli zodiacali e altri simboli misteriosi.
Vern fa per ribadire quando un rumore lo zittisce. «Avete sentito?»
«Cosa?», gli chiede Sequoia, preoccupato.
Poi tutti se ne rendono conto: ci sono dei cavalli che si stanno avvicinando dal viale che porta dritto al tempio, uno sterrato ben curato, che passa attraverso una lunga fila di olmi.
Jones impreca, poi si rivolge alla Kendal. «Tu come sei messa? Riesci a reggere un altro combattimento?»
Everi annuisce. «Sono stanca e ho la testa che mi scoppia, ma non ti lascerò solo.»
«Che piccioncini», ironizza Vern. «Nessuno però pensa a me, cazzo. Ho perso il mio coltello, sono disarmato.»
Senza dire nulla Jones estrae un pugnale dalla tasca laterale del bergen e lo porge al ladro. È una specie di stocco dalla lama dritta e appuntita, senza particolari fronzoli estetici. A Vern ricorda qualcosa che ha visto al cinema, anni prima di venire a conoscenza del Mondo Nascosto, salvo poi scoprire che armi come quelle a volte hanno una corrispondenza nel reale. O almeno così dicono alcuni testi in possesso al suo ex maestro. «È un pugnale di Megiddo?», domanda a Sequoia.
«Ottimo contro i demoni di qualunque tipo. Andrà benone anche per i mostri di Perrault.»
«E tu come fai ad averne uno?»
Jones gli fa cenno di tacere. Dei cavalieri stanno sbucando nella radura dove si trova il tempio.



Sono in cinque. Montano destrieri scolpiti in legno, ma animati. Si notano i meccanismi che muovono le articolazioni delle zampe, il collo e gli altri muscoli. Portano delle bardature su cui è dipinto un'insegna nobiliare che rappresenta un grifone nero in campo giallo.
I cavalieri non sono meno stravaganti. Indossano delle armature a tre quarti, prive di schinieri e dotate di elmi borgognotta decorati sui guanciali con disegni di ali spiegate. Quattro di loro sono armati con archibugi, sciabole da cavalleria e lance da caccia dalla lama a foglia. Il fatto è, come nota Vern, che non sono umani. Sono creature vegetali, fatte di radici e rami intrecciate, con fili d'erba e foglie al posto dei capelli e bacche violacee come occhi.
Soltanto il quinto cavaliere si distingue. Innanzitutto perché la sua armatura è ancora più elaborata e arricchita da un mantello di raso color ocra. Inoltre è umano, anche se le fattezze che si scorgono dietro il metallo sono orrende. L'uomo ha un occhio molto più grosso dell'altro, il mento prominente, la fronte alta e piatta e un unico ciuffo di capelli neri che sbuca dall'elmo. Come se non bastasse è evidentemente gobbo.
I cinque si fermano a una dozzina di metri dal tempietto. Il loro capo sciorina qualcosa, una domanda, in uno spagnolo talmente strano che Vern non comprende una sola parola.
«Parlate l'inglese?», risponde Everi, sulle difensive.
«Certo che sì», conferma l'uomo, con un accento impeccabile. «Il vostro arrivo era suggerito dalle mie previsioni astrologiche, ma ciò non di meno mi ha stupito. Da tempo nel mio regno non giungono degli estranei. Tra l'altro vedo che con voi viaggia anche una creatura fatta di sol spirito.»
Vern è stupito. Si aspettava un approccio assai più ostile da parte dei cavalieri. Lascia che sia la Kendal a occuparsi di quel primo contatto. Everi stessa sembra perplessa, ma non arretra d'un passo. «Con chi ho l'onore di parlare?»
«Sono il principe Riquet e questo è il mio dominio. Esso appartiene al mondo alchemico creato dal subdolo messer Perrault. I miei cavalieri, come potete vedere, sono golem lignei. Io stesso sono stato coltivato dal diabolico stregone. Mia è infatti la natura di homunculus.»
La rivelazione del principe coglie del tutto impreparati i tre avventurieri e Anna. Everi si chiarisce la voce, alla ricerca di una risposta adeguata. Per prima cosa presenta il gruppo, per ricambiare la cortesia, poi azzarda un interrogativo: «Altezza, dalle sue parole lei pare essersi liberato dal giogo maligno di Perrault. Forse non è nemmeno più al suo servizio. Quel che dico è corretto?»
«Lo è.» Non c'è esitazione nella voce del gobbo.
«Ci avete trovati alla svelta», interloquisce Sequoia, stanco di quei salamelecchi.
«Solo fortuna. Eravamo a caccia.»
«A caccia in un reame posticcio, abitato da creature artificiali?», ironizza Vern.
«Da quanto ho preso il possesso di questo dominio, ho fatto quanto in mio potere per animarlo di vera fauna. Per quanto mi è concesso dalla magia studiata sugli antichi tomi incautamente lasciati qui da Perrault, ho potuto ricreare della semplice vita animale.»
«Quindi è anche lei un alchimista», afferma Everi.
«E anche qualcosa in più», conferma il gobbo. «Ma non abbastanza per fuggire dalla prigione per occupare la quale sono stato messo al mondo.»
Per qualche istante nessuno parla. I cavalieri si limitano a fissare i nuovi arrivati coi loro piccoli occhi neri. Alla fine è Anna a rompere l'imbarazzo. «Principe Riquet, io stessa sono stata schiava dello stregone che ha costruito i percorsi. Ordunque, visto che anche lei si è ribellato all'oscuro volere di messer Perrault, può forse aiutarci a sconfiggerlo definitivamente?»
Negli occhi asimmetrici del gobbo fa capolino uno sguardo intenso. «Lo spero. Vogliate seguirmi a palazzo. Parleremo in modo più civile di tutto questo.»

Di tacito accordo, troppo stanchi per sfidare Riquet e i suoi pretoriani, i quattro seguono i cavalieri attraverso l'elegante parco di quella che pare essere una reggia.
Il principe galoppa in testa, seguito dai golem, senza più parlare. Vern è preoccupato per quell'ennesima deviazione di percorso. Sente che nel suo corpo si sta diffondendo un calore innaturale, che pulsa appena sotto la pelle. È qualcosa che lo fa sentire al contempo più in forma, ma anche terribilmente assetato. Il che conferma i suoi sospetti più cupi. Sa che un mago sufficientemente potente potrebbe curare gli effetti del morso della lamia. Il fatto che Riquet si sia definito alchimista gli dà l'unica, piccola consolazione del trovarsi lì, a passeggiare in quella tasca dimensionale sconosciuta.
«Tutta questa faccenda mi ricorda qualcosa», sussurra Everi mentre camminano. «Una fiaba minore, di quelle non ancora recuperate dalla Disney, ma che non riesco a focalizzare.»
«Consulta Wikipedia», la schernisce Vern, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della Kendal.
Sequoia si rivolge ad Anna: «A te questo gobbo aborto di natura non fa proprio venire in mente nulla?»
Il fantasma scuote il capo. «Le creature di Perrault nel mio mondo erano oramai tanto numerose che una semplice damigella come me non poteva conoscerle tutte. L'insegna di codesti cavalieri mi rammenta quella di alcuni casati minori degli Asburgo di Spagna, il che potrebbe confermare la volontà dello stregone di dileggiare i vecchi nemici del Re Sole.»
«Un'informazione che ci aiuta poco», grugnisce Jones.
Quindi tutti si azzittiscono perché dopo una svolta a gomito del viale si vede finalmente la loro meta.



La reggia di Riquet è in stile barocco, a pianta rettangolare, alta tre piani, ricca di finestre che si affacciano su un giardino all'inglese. Nell'ampio spiazzo davanti all'ingresso, lastricato con piastre di granito, è posta una maestosa fontana al cui centro svetta la statua della Dea Artemide, scolpita a cavallo di un cervo.
Un paio di giardinieri stanno potando le siepi perimetrali. Anch'essi sono golem di legno e radici. Nel prato gironzolano pacifici alcuni pavoni, almeno questi reali, che voltano le teste per osservare il corteo che si avvicina.
Riquet ferma i suoi e fa cenno loro di andarsene. I cavalieri deviano verso destra, in direzione di un'ala che pare ospitare le scuderie di palazzo. Il gobbo si rivolge ai suoi ospiti, soffermandosi qualche attimo in più a osservare Everi. «Vogliate accettare la mia ospitalità. Farò preparare un pranzo in vostro onore.»
«Altezza», replica la Kendal, cercando di nascondere la tensione. «Purtroppo la nostra missione richiede una certa urgenza. Non si offenda ma non possiamo fermarci a lungo. La prego di spiegarci come e se può aiutarci a sconfiggere Charles Perrault, oppure di indicarci come tornare nei percorsi di Mamma Oca.»
Per un momento Riquet sembra irritarsi, tanto da muoversi a disagio sulla sella. Quando però parla mostra la consueta educazione. «Capisco benissimo. Allora affretterò i tempi. Entrate a palazzo e discutiamo il da farsi.»
Vern osserva i compagni. Sequoia è nervoso, ma a quanto pare ha deciso di lasciare a Everi ogni decisione. Anna, dal canto suo, si è fatta taciturna e pare quasi svanire alla luce del sole che splende sulla reggia. Il ladro si chiede quanto di quel che hanno attorno è vero e quanto è illusorio. In lontananza, oltre il giardino, il paesaggio campestre dà l'idea di essere dipinto. Si riscuote subito da quei pensieri oziosi. Senza farsi vedere si massaggia il braccio indolenzito e valuta come agire, certo che i suoi compagni stanno facendo la stessa cosa.
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LA SCELTA


  • Volete ascoltare la proposta del principe Riquet attraverso il POV di Everi?
  • Preferite seguire Vern, che con un semplice stratagemma potrebbe lanciarsi nell'esplorazione solitaria della reggia?
  • Oppure pensate che tocchi ad Anna tentare di scoprire da sola i segreti che nasconde il principe Riquet?
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